DOVE MEGLIO SI CONSERVANO LE MACROMOLECOLE FONDAMENTALI PER LA VITA
Le regioni del Pianeta rosso ricche di permafrost sarebbero i luoghi ideali in cui cercare tracce di vita. A dirlo è uno studio della Penn State University e della Nasa pubblicato su Astrobiology. La ricerca ha dimostrato come gli amminoacidi, i mattoni costitutivi delle proteine, possano sopravvivere all’interno di queste matrici ghiacciate per milioni di anni, nonostante l’esposizione prolungata alle radiazioni cosmiche

Immagine ottenuta dal Mars Global Surveyor della Nasa che mostra il permafrost della regione polare settentrionale di Marte. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Msss
La ricerca di prove di vita extraterrestre rappresenta una delle sfide più complesse e affascinanti dell’astrobiologia. Individuare queste tracce significa rivelare su un corpo celeste la presenza di firme biologiche: molecole, pattern chimici o strutture la cui formazione può essere spiegata solo da processi biologici.
Secondo un recente studio condotto da un team di ricercatori della Penn State University e della Nasa, su Marte questi biomarcatori andrebbero cercati nel permafrost e nelle calotte glaciali del pianeta, piuttosto che nella sua superficie rocciosa. La ricerca, i cui risultati sono stati pubblicati il mese scorso sulla rivista Astrobiology, ha mostrato infatti che gli amminoacidi – i mattoni costitutivi delle proteine, macromolecole essenziali per la vita – possono sopravvivere all’interno di queste matrici ghiacciate per milioni di anni, nonostante l’esposizione prolungata alle radiazioni cosmiche.
Per giungere a questa conclusione, il team di ricerca guidato da Alexander Pavlov, astrobiologo della Nasa, ha condotto esperimenti di laboratorio al fine di valutare la sopravvivenza di queste molecole in un ambiente marziano simulato.
L’approccio sperimentale utilizzato, specificamente progettato per misurare il tasso di degradazione degli amminoacidi, ha previsto la preparazione di tre diverse tipologie di campioni di prova: un campione contenente amminoacidi puri disciolti in acqua; un campione contenete amminoacidi puri mescolati con silicati comuni su Marte (silice fusa e montmorillonite), per simulare la regolite marziana; e, infine, un campione contenete resti di batteri Escherichia coli, usati per riprodurre la presenza di biofirme derivanti da organismi estinti o dormienti sul pianeta.
Dopo la preparazione, i campioni sono stati trasferiti in una camera di irraggiamento gamma e raffreddati con ghiaccio secco fino a -50 gradi Celsius, la temperatura media del permafrost di Marte. Successivamente, sono stati irradiati con dosi di raggi gamma che hanno simulato milioni di anni di esposizione ai raggi cosmici di origine galattica e solare. L’ultima fase dell’esperimento ha previsto lo scongelamento dei campioni in acqua calda a 100 gradi Celsius per 24 ore, seguita dall’estrazione e dal recupero degli amminoacidi per quantificare la loro abbondanza residua nelle diverse matrici.
I risultati della ricerca hanno mostrato che il tipo di matrice in cui gli amminoacidi sono incorporati influenza drasticamente il loro tasso di degradazione. Mentre nei campioni mescolati con silice fusa oltre l’80 per cento degli amminoacidi è andato distrutto, nei campioni disciolti in ghiaccio – sia quelli contenenti amminoacidi puri sia quelli derivanti dai batteri – le molecole degradate erano tra il 20 e il 40 per cento.
Oltre a testare il tasso di degradazione nelle condizioni di Marte, i ricercatori hanno anche valutato la sopravvivenza degli amminoacidi nelle condizioni simulate di Europa, la luna ghiacciata di Giove, ed Encelado, la luna ghiacciata di Saturno, scoprendo che alle temperature ancora più rigide di questi mondi il tasso di degradazione delle molecole era ulteriormente ridotto.
«Sulla base dei risultati di uno studio del 2022, si pensava che il materiale organico disciolto nel ghiaccio o nell’acqua si distruggesse più rapidamente rispetto allo stesso materiale disciolto in una miscela di acqua e suolo», spiega Pavlov. «Scoprire che invece gli ammoniaci vengono distrutti a un ritmo molto più lento è stato sorprendente».
Questi risultati, spiegano i ricercatori, suggeriscono che le molecole biologiche intrappolate nei ghiacci superficiali di Marte potrebbero sopravvivere per oltre 50 milioni di anni, l’intervallo di tempo simulato nello studio. Inoltre, poiché il ghiaccio ha una densità relativamente bassa, i tassi di degradazione delle molecole in questa matrice non cambiano significativamente con la profondità: non esiste dunque alcun vantaggio nel perforare strati di ghiaccio più interni (o la regolite dominata dal ghiaccio) per campionare molecole organiche inalterate.
Sulla base dei risultati del nostro studio, concludono i ricercatori, le regioni di Marte caratterizzate dalla presenza di permafrost rappresentano i luoghi più promettenti per la ricerca di materiale biologico e, quindi, dovrebbero costituire il principale obiettivo delle future missioni di ricerca della vita. Incorporati in queste matrici ghiacciate, gli amminoacidi, sia di origine biologica che abiotica, avrebbero infatti un’elevata probabilità di sopravvivenza, al contrario degli amminoacidi presenti nella regolite, che si degraderebbero molto più rapidamente.
Per saperne di più:
- Leggi su Astrobiology l’articolo “Slow Radiolysis of Amino Acids in Mars-Like Permafrost Conditions: Applications to the Search for Extant Life on Mars” di Alexander A. Pavlov, Hannah L. McLain, Kendra K. Farnsworth, Daniel P. Glavin, Jamie E. Elsila, Jason P. Dworkin, Zhidan Zhang e Christopher H. House
